• Canada Educational Expedition 2025

    Milk River view_©A. Giamborino

    La provincia dell’Alberta (Canada) è al centro delle scoperte di dinosauri già dalla fine dell’800, quando diverse spedizioni del Geological Survey of Canada raccolsero ossa dei grandi rettili mesozoici nella parte più meridionale della regione. Quasi sempre i siti più produttivi e in generale gli esemplari più significativi e meglio preservati provenivano dai calanchi lungo il Red Deer River, in quello che oggi è chiamato Dinosaur Provincial Park.
    Sono passati molti anni e dopo molte stagioni trascorse in Alberta oggi sono ancora molte le risposte che cerchiamo. La provincia dell’Alberta è vasta e piena di località fossilifere importanti: noi siamo al lavoro principalmente in due aree molto diverse tra di loro. L’area di Grande Prairie, dove lavoriamo con il Philip J. Currie Museum e l’Università dell’Alberta , è una vasta regione dominata dalla foresta boreale. La valle del Milk River, al confine con gli Stati Uniti, è invece dominata da aride badlands e da molti anni collaboriamo con il gruppo coordinato dal dottor David Evans del Royal Ontario Museum di Toronto.

    Le attività del progetto Canada Educational Expeditions cominciate nel 2022 e che finora hanno coinvolto gli studenti sono principalmente le seguenti:

    Le collezioni museali
    Una delle prime attività è la visita alle collezioni dei musei locali. Di questi abbiamo visitato, sotto la supervisione dei rispettivi curatori, le collezioni del Royal Tyrrell Museum (Drumheller) e del Philip J. Currie Dinosaur Museum (Wembley).  L’attività ha lo scopo di fornire agli studenti una conoscenza sulla valorizzazione delle collezioni museali custodite nel territorio di appartenenza, tenendo in considerazione la loro storia e la loro preparazione, i modelli di gestione attuali, il rapporto pubblico-privato e la legislazione di riferimento.  I partecipanti hanno soprattutto la possibilità di vedere tutte le fasi di preparazione dei reperti, dal loro arrivo nei magazzini fino all’esposizione al grande pubblico.

    Collezioni del Royal Tyrrell Museum_ © A. Giamborino

    Siti storici e nuovi  siti di scavo
    Visto il coinvolgimento di studenti anche alle prime esperienze, dedichiamo molto tempo per mostrare il lavoro di scavo sul terreno. Si tratta di un lavoro lento e meticoloso che comincia con le prospezioni sul terreno e la scoperta di un’area promettente. Quando si decide di aprire un sito, le priorità sono la messa in sicurezza di ogni reperto e la meticolosa mappatura di ogni elemento scoperto prima del recupero e del trasporto.

    Daspletosaurus quarry_ ©A. Giamborino

    Rilevamento geologico
    I giacimenti esaminati fanno parte di un contesto geologico complesso che deve essere parte integrante degli studi paleontologici che portiamo avanti. Lo studio delle successioni sedimentarie permette di capire l’età dei giacimenti e la loro posizione stratigrafica reciproca, ricostruire i paleoambienti, integrare informazioni sulla vegetazione e la temperatura del tempo e molto altro. Nell’area di Grande Prairie l’unità di riferimento è la Wapiti Formation (Campaniano-Maastrichtiano). Nell’area della Milk River Valley le unità di riferimento sono la Oldman Formation e la Dinosaur Park Formation (Campaniano).

    Peace Country– Grande Prairie_ © A. Giamborino

    Prospezioni paleontologica
    La ricerca di nuovi siti fossiliferi per l’organizzazione di scavi e per progetti di studio e raccolta fossili permette di valutare nuove aree di lavoro, testarne l’accessibilità e di acquisire buone capacità di riconoscimento dei fossili anche per i meno esperti. Ogni nuovo sito è mappato tramite GPS, fotografato e descritto in maniera efficace. Alcune delle aree coinvolte sono frutto di segnalazioni o monitoraggi delle campagne degli anni precedenti. La raccolta del materiale paleontologico, proveniente dalle aree in esame, viene confrontata, identificata e catalogata alla fine di ogni giornata lavorativa e di ogni spedizione.

    Daspletosaurus quarry view – © A. Giamborino

    Siamo felici di comunicare che anche per l’estate 2025 APPI e il FantiLab – VertPaleo Bologna forniranno un’opportunità di studio e di collaborazione per studenti delle università italiane. I progetti di ricerca in corso permettono di organizzare attività formative con la possibilità di arricchire la propria formazione con esperienze dirette in diversi contesti, dal terreno alle collezioni museali. 

    Sono disponibili fino a n° 2 posti per avere la possibilità di partecipare alle ricerche legate al Southern Alberta Dinosaur Project (SADP), coordinato dal prof. David Evans del Royal Ontario Museum di Toronto per la componente paleontologica e dal prof. Federico Fanti per la componente geologica. 

    Le attività del progetto sono previste per il periodo compreso tra giugno e luglio con date da definirsi in base alla disponibilità verificata in agenzia di viaggio. 

    La chiamata è aperta a studenti con formazione in Scienze Geologiche, Scienze Biologiche e Scienze Naturali attualmente iscritti ad una Laurea Magistrale pertinente a tematiche geologiche e paleontologiche. Le linee di ricerca del progetto includono: stratigrafia, paleontologia, paleoecologia, museologia scientifica. 


    Per scaricare il bando ti invitiamo a visitare il sito #VertpaleoBologna nella sezione Educational Expeditions.

    Paleoarte: Frames from Deep Time

    Esposizione dedicata al mondo della Paleoarte
    Una mostra organizzata da APPI – Associazione Paleontologica Paleoartistica Italiana
    e Animali Selvaggi

    In collaborazione con

    Museo Paleontologico di Montevarchi e Accademia Valdarnese del Poggio

    Frames from Deep Time

    9 – 21 dicembre 2024

    Animali Selvaggi – Via Zamboni 74
    Bologna


    Durante la durata dell’esposizione sono previsti seminari ed incontri con il pubblico:

    * 9 dicembre ore 18,30 PALEOARTISTI SI DIVENTA: riportare in Vita la Preistoria – con Davide Bonadonna (paleoartista)
    * 12 dicembre ore 18,30 DALLA PIETRA ALLA CARTA: storie di come figurare un sasso e altri strani oggetti – con Michela Contessi (conservatrice del Museo Geologico G. Capellini)
    * 17 dicembre ore 18,30 CARTOLINE DAL TEMPO PROFONDO: storie di Paleoartisti – con Fabio Manucci (paleoartista)
    * 19 dicembre ore 18,30 ALTRI MONDI – con Marco Muscioni (paleontologo)


    Extinction – Prima e dopo la scomparsa dei dinosauri

    Lunedì 8 luglio alle ore 17:30 avrà luogo l’inaugurazione del parco pubblico “Orto San Benedetto”, un progetto che nasce da un’idea dell’Amministrazione comunale della città di Gubbio.
    Intenzione della città Eugubina è di continuare ad investire sul segmento del turismo naturalistico e geopaleontologico, visto il collegamento con la vicinissima mostra Extinction, che racconta le grandi estinzioni verificatesi nel corso delle Ere geologiche, compresa quella dei dinosauri, e il geosito della Gola del Bottaccione, che lo scorso anno si è confermato un riferimento mondiale per tutta la comunità scientifica con l’attribuzione del Golden Spike. Tale sito, già meta di studiosi da tutto il mondo a partire dagli anni 30 del ‘900 , con la sua sequenza di rocce che testimonia anche la caduta sulla Terra del gigantesco asteroide che 66 milioni di anni fa causò l’estinzione di numerose specie (tra cui i celebri dinosauri).

    Il parco pubblico “Orto San Benedetto” è stato riqualificato grazie al contributo del GAL Arte Umbria, all’interno dell’ AVVISO PUBBLICO P.A.L. ALTA UMBRIA 2014-2020 AZIONE 19.2.1.6 – Miglioramento dei servizi base ai visitatori e alla popolazione rurale- Bando Smart Villages (Misura 7.4.1 del PSR dell’Umbria 2014-2020), con il cofinanziamento del Comune di Gubbio.Il progetto di riqualificazione del parco pubblico, diretto dall’ Arch. Sebastiano Sarti, con un importo complessivo di circa €220.000 di cui circa €180.000 finanziati dal GAL, ha permesso di rimettere al centro il luogo che anticamente era l’orto del monastero benedettino, diventato negli ultimi anni uno spazio poco vissuto. Il Parco sarà uno spazio pubblico, aperto a tutti, ed in particolare alle famiglie e ai bambini che vogliono “immergersi” nel mondo dei dinosauri. Inoltre, il Comune di Gubbio ha siglato una convenzione con la mostra “Extinction. Prima e dopo la scomparsa dei dinosauri”, “Il ristorante San Benedetto” ed il bar gelateria “Il cinque colli”, al fine di collaborare congiuntamente alla manutenzione ed al rispetto di questa area restituita alla città.

    La cerimonia inaugurale è prevista presso la sala Refettorio dell’ex Monastero di San Benedetto, all’interno della mostra Extinction.
    Interverranno il neo eletto Sindaco di Gubbio Vittorio Fiorucci, il Presidente del Gal Arte Umbria Mirco Rinaldi, l’Architetto Sebastiano Sarti, direttore e ideatore dei lavori di riqualificazione, il Paleontologo Simone Maganuco, curatore della mostra Extinction e rappresentante dell’Associazione Paleontologica APPI.

    A seguito del taglio del nastro, ad ufficializzare la fruizione dei nuovi spazi della cittadinanza, gli operatori di Extinction realizzeranno insieme ai bambini “Pallondino”, il coloratissimo palloncino preistorico, ed il Paleontologo Simone Maganuco sarà a disposizione di tutti per rispondere a domande e curiosità legate ai dinosauri e tanti altri animali estinti.
    Con l’estrazione ufficiale del vincitore del Contest, svoltosi nelle scorse settimane grazie l’aiuto dei visitatori della mostra, il Sauropode di grandi dimensioni “arrivato” all’interno dell’Orto San Benedetto riceverà un nome.

    Geology and the Art of Geoscience communication

    Geology for a sustainable management of our Planet è il congresso congiunto organizzato dalla Società Geologica Italiana (SGI) e dalla Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (SIMP) e che si svolgerà a Bari dal 3 al 5 settembre 2024 .

    Le tre giornate congressuali saranno articolate in sessioni scientifiche parallele, conferenze plenarie di studiosi di rilievo internazionale, tavole rotonde e workshop su tematiche chiave delle Geoscienze nonché sul loro contributo a temi ad alto impatto geologico-sociale.
    Come per la cerimonia di apertura, i temi congressuali dedicheranno attenzione anche alla divulgazione delleGeoscienze come strumento per la formazione del cittadino, per un futuro sostenibile del Pianeta.

    Se siete impegnati nella divulgazione delle geoscienze o desiderate affinare le strategie di comunicazione, vi invitiamo a presentare il vostro contributo alla sessione:  

    T47. The art of Geosciences communication  

    https://www.geoscienze.org/N285/sessionT47.html

    La scadenza per la sottomissione degli abstract in inglese è fissata venerdì 26 aprile alle ore 19:00. 
     

    Verranno presi in considerazione i metodi di comunicazione tradizionali, come la narrazione, il linguaggio e la visualizzazione, nonché le strategie digitali emergenti come la citizen science, i social network e le app. 

    Sono benvenuti anche approcci non convenzionali, come le arti visive, la letteratura, i fumetti, la musica e le performance per trasmettere informazioni scientifiche e la presentazione di opere artistiche ispirate alle Scienze della Terra. 

    Per dubbi non esitate a contattarci!

    CONVENERS: Valeria Giampaolo (CNR), Ortensia Amoroso (Università degli Studi di Salerno), Rosa Coluzzi (CNR), Giacomo Eramo (Università di Bari Aldo Moro), Marco Romano (Sapienza, Università di Roma), Anna Giamborino (APPI, Associazione Paleontologica e Paleoartisca Italiana)​.

    valeria.giampaolo@cnr.it

    Megalosaurus…e poi tutto cambio’

    di Federico Fanti

    Il 20 febbraio di 200 anni fa, davanti alla Società Geologica di Inghilterra, William Buckland pronunciava per la prima volta il nome di un animale davvero fuori dall’ordinario: il Megalosauro (Megaolosaurus). Anche se non aveva a disposizione i resti completi di questo animale, le dimensioni e soprattutto i grandi denti ricurvi ritrovati a poca distanza da Oxford non lasciavano dubbi sull’unicità di questo animale. E poi, era fatto di pietra, era fossilizzato.


    Non si poteva avere una immagine chiara dell’aspetto perché nessun animale era paragonabile al Megalosauro, e neppure capire quando fosse vissuto, specialmente in un mondo, quello di inizio Ottocento, che considerava la Terra vecchia di 6000 anni – e non 4,5 miliardi di anni – e in cui evoluzione ed estinzione erano concetti semplicemente sconosciuti: Charles Darwin pubblicherà infatti la sua rivoluzionaria “L’origine delle specie” solo nel 1859.

    Il Megalasauro è una vera icona nel mondo della paleontologia e dei dinosauri, essendo il primo ad essere stato descritto scientificamente. Sono moltissimi gli scienziati che ogni anno cercano di vederne i fossili di persona. Per quanto mi riguarda, sono sempre stato attratto dalla storia del Megalosauro, trovato per caso in una miniera di Stonesfield, un piccolo paese a poca distanza da Oxford. Per questo motivo ho cercato in ogni modo di vedere il luogo in cui è stato trovato e per farlo mi sono calato con un argano in un pozzo che conduceva ad un labirinto di cunicoli sotterranei circa 20 metri nel sottosuolo inglese. 

    Le miniere in cui vennero scavate le ossa del Megalosauro e di molti altri animali dello stesso periodo. I cunicoli sono abbandonati da tempo, ma questo non vuol dire che non ci possano essere altri dinosauri da scavare nelle rocce.

    Il ritrovamento di Megalosauro ebbe un impatto incredibile nella comunità scientifica, che in breve tempo fu costretta ad affrontare ritrovamenti simili in tutta Europa. Fu la nascita del “tempo profondo” ossia accettare che la storia dell’uomo e del pianeta Terra non sono sinonimi e che molto era successo prima del nostro arrivo.
    Capire il tempo, capire l’evoluzione, capire il concetto di estinzione e di cambiamento fu qualcosa di rivoluzionario, anche se oggi ci può sembrare banale. Decenni di scavi in tutto il mondo confermarono tutte queste teorie, e oggi grazie anche alle tecnologie di cui disponiamo, non consideriamo più i fossili come i resti di strani mostri preistorici, ma come uno strumento fondamentale per capire la storia della Terra, la nostra storia, e per capire come funziona davvero il pianeta che abbiamo la fortuna di abitare.

    Anche se il Megalosauro è diventata una vera e propria star, non è l’unico fossile rinvenuto a Stonesfield. Insetti, piante, invertebrati e microfossili ritrovati negli stessi strati rocciosi ci hanno permesso non solo di dare una età a questi animali – 160 milioni di anni – ma di ricostruire un complesso ecosistema del periodo Giurassico.
    Capire come gli esseri viventi reagiscano ai cambiamenti ambientali è esattamente quello che oggi cerchiamo di fare. Studiare il passato ci offre la possibilità di avere innumerevoli esempi e confronti, dandoci la possibilità di capire come costruire in modo sempre più accurato e scientifico le previsioni per il nostro futuro.

    Dinosauria: anatomical and ecological innovations along the avian lineage

    I dinosauri, dominatori della Terra per 230 milioni di anni, si distinguono per una straordinaria diversità biologica riscontrabile nelle abitudini alimentari, negli ambienti occupati e nelle dimensioni corporee, spaziando dal colibrì al Tyrannosaurus rex. Ricerche condotte da ormai due secoli hanno collegato i dinosauri agli uccelli, sollevando interrogativi sullo sviluppo di caratteristiche biologiche una volta considerate tipiche solo degli uccelli moderni.
    Il dibattito sull’origine di un elevato metabolismo capace di termoregolare indipendentemente dall’ambiente esterno, in contrapposizione a quanto presente in molti rettili odierni, affonda le radici nella concezione del termine “Dinosauria” proposta da Richard Owen nel XIX secolo. Nonostante gli sforzi di molti ricercatori, la sfida persiste a causa della scarsità di informazioni fossili, generando divergenze di opinione sull’evoluzione di questa caratteristica fisiologica.
    Recenti scoperte fossili, unite a progressi nelle metodologie filogenetiche e nelle scienze paleontologiche, suggeriscono un nuovo scenario sull’origine della biologia peculiare degli uccelli all’interno della linea evolutiva dei dinosauri, indicando un’evoluzione di queste caratteristiche ben prima di quanto comunemente si credesse…

    Ci parlerà di questa incredibile diversità, che vede come protagonisti tra i più iconici animali della storia della Vita, il Dottor Alessandro Chiarenza (Università di Vigo), lunedì 11 dicembre ore 10, presso l’auletta di Anatomia Comparata – Alma Mater Studiorum Università di Bologna (via Selmi 3).

    Patologie ed enigmi (risolti e non) di un celebre adrosauro

    di Fabio Manucci

    Tra i molti tesori fossili del Royal Ontario Museum di Toronto (Canada) se ne ritrova uno particolarmente bizzarro ed iconico: il primo scheletro rinvenuto di Parasaurolophus, catalogato come ROM 768 e antico di 76 milioni di anni. Si tratta di un dinosauro erbivoro del gruppo degli adrosauri, animali spesso riconoscibili dalla presenza di creste che ne ornano il cranio. Tra tutte le specie note, Parasaurolophus è la forma crestata più appariscente e particolare, dotata di una sorta di tubo osseo piegato all’indietro e internamente cavo, un organo ritenuto oggi una cassa di risonanza utile ad amplificare i suoni. Questo tratto così difficile da spiegare lo ha reso per molti anni un vero enigma scientifico, trasformandolo anche in uno dei dinosauri più noti al grande pubblico, celebrato da film quali “Fantasia” di Walt Disney e “Jurassic Park”, con i suoi recenti seguiti. Malgrado questa notorietà si tratta di un adrosauro tra i più rari, di cui la specie P. walkeri, la prima descritta e quella qui esaminata, fu scoperta intorno al 1920 presso il Dinosaur Provincial Park in Alberta, regione dalla quale continuano a scarseggiare suoi ritrovamenti.

    The type specimen of Parasaurolophus walkeri (ROM 768) exhibited at the ROM in the opisthotonic “death pose” position as it was found in 1920.

    Un nuovo studio, appena pubblicato sulla rivista Journal of Anatomy, fa luce su nuovi aspetti di questo celebre dinosauro. A capo della ricerca Filippo Bertozzo, giovane paleontologo presso la Queen’s University di
    Belfast e specializzato proprio negli adrosauri. Filippo ha avuto la fortuna di occuparsi del ristudio del celebre ROM 768, fossile di una specie che da sempre lo affascina e che ha potuto analizzare da una nuova prospettiva inattesa, quella della paleopatologia. Questa disciplina riguarda l’analisi di malattie, ferite e traumi visibili ancora dai fossili, un ambito un tempo trascurato che sta vivendo ora una piccola rivoluzione, grazie anche a Darren Tanke, uno degli autori che han preso parte all’articolo. In fondo, a chi dovrebbero interessare le malattie di un animale estinto, non è certo curabile! Di sicuro a chi vuole indagare la biologia delle specie fossili anziché limitarsi a raccoglierle. Le patologie, proprio come in un caso criminologico, ci raccontano un’infinità di dettagli sullo stile di vita e l’anatomia, restituendoci informazioni altrimenti difficili da dedurre. In realtà la materia rimane tuttora innovativa e lo scheletro esposto a Toronto racchiude un’infinità di traumi e ferite, mai trattati in dettaglio. Filippo ha dedicato i suoi ultimi anni di ricerca allo studio delle paleopatologie, spostandosi in giro per il mondo, dal Canada alla Russia, per osservare quel che i fossili ancora dovevano raccontare a riguardo. E questo scheletro di Parasaurolophus ne ha davvero molte di “vecchie ferite” e altrettante storie da svelare. In particolare, una di queste patologie è da sempre un suo segno di riconoscimento, qualcosa che solo ROM 768 mostra e che si nota al primo sguardo: la sua schiena porta una sorta di “sella” infossata a forma di V, una concavità tra la settima e ottava vertebra dorsale. Per anni ha confuso i ricercatori portandoli alle ipotesi più bizzarre, mai però giunte ad un’analisi definitiva. Molte illustrazioni lo hanno ricostruito così, con un buco nella schiena. Dato che la V si presenta alla stessa altezza della testa, qualcuno aveva ipotizzato potesse facilitare il passaggio o l’appoggio dell’ingombrante cresta cranica, lunga quasi un metro e mezzo. In quest’ottica si trattarebbe di un tratto anatomico dell’animale, ma altri fossili non sembravano confermarlo. Questa ricerca chiarisce definitivamente la natura traumatica e casuale della “sella” e rivela molte altre patologie, tra cui una malattia parodontale alla mandibola (un’infezione o trauma nella regione della bocca), fratture alle costole e nelle ossa del bacino. Insomma, un animale molto “vissuto”, che aveva dovuto fare i conti con numerosi episodi traumatici, in qualche modo superati con successo, come ne dimostrano i segni di guarigione osservabili sulle ossa, di solito visibili dopo settimane se non mesi. Ma, come si è detto sopra, anche una patologia può suggerire implicazioni inaspettate e questo è proprio il caso della “sella”. Il trauma che l’aveva provocata sembrava spiegabile con l’urto subito con un oggetto pesante, qualcosa che lo avesse colpito quasi verticalmente. Forse un tronco caduto o un impatto di altro genere, vista la posizione alta della ferita, un’ipotesi magistralmente illustrata dal paleoartista Marzio Mereggia, con un’immagine ricca di dinamismo.

    Paleoart reconstruction of a plausible scenario explaining the fossilized injuries in the thorax of ROM 768. In a violent rain and windstorm, a large tree (Platanaceae) falls on an adult Parasaurolophus walkeri, while the group is escaping. The tree falls vertically on the back of the animal, hitting the rib cage and the neural spines of the anterior dorsal vertebrae. Artwork Marzio Mereggia.
    Paleoart reconstruction of a plausible scenario explaining the fossilized injuries in the thorax of ROM 768. In a violent rain and windstorm, a large tree (Platanaceae) falls on an adult Parasaurolophus walkeri, while the group is escaping. The tree falls vertically on the back of the animal, hitting the rib cage and the neural spines of the anterior dorsal vertebrae. Artwork Marzio Mereggia

    Per quanto studiandolo sia evidente l’origine patologica, le vertebre non sono però “spezzate” e la loro particolare divaricazione a V può essere indicativa anche di altri aspetti più anatomici, non subito visibili dalle ossa. E qui è entrata in gioco anche la mia parte, lo studio di ricostruzione. Discutendone a lungo, abbiamo ipotizzato la possibilità che la posizione e forma della “sella” potessero fornire indizi sulla presenza in vita di un legamento nucale, una spessa struttura elastica che avrebbe aiutato a sostenere il collo e la testa, oltre a favorirne la mobilità. Qualcosa di simile a quanto si nota facilmente nel massiccio collo dei cavalli e delle mucche, ma presente in moltissime specie, inclusi a loro modo anche i coccodrilli e alcuni uccelli. L’ipotesi era già stata dibattuta in dettaglio per altri dinosauri, in particolare i sauropodi dal lungo collo che, viste le proporzioni incredibili, avrebbero giovato particolarmente di questa struttura. Ma è un dettaglio rimasto trascurato negli altri dinosauri e di cui spesso si vedevano ricostruzioni senza però un effettivo studio alle spalle. Per risolvere questo aspetto ci ha aiutati Matthew Dempsey, studente dottorale presso l’Università di Liverpool e coautore della ricerca, molto competente nello studio muscolare e biomeccanico dei dinosauri. Matthew ha ricostruito le differenti varianti del legamento nucale, stabilendo i probabili punti di origine e inserzione, sulla base anche del range di variabilità presente negli animali moderni e sfruttando l’indizio stessa della patologia, corrispondente a dove si riteneva si originasse il legamento in altri dinosauri. Il risultato è un collo non più snello, come appare dalle ossa e dalle prime ricostruzioni, ma spesso e muscoloso, perfettamente adatto ad un erbivoro quadrupede. Un tempo si riteneva che questi dinosauri fossero semiacquatici e anche il collo era inteso in analogia con quello di un’anatra, sottile e flessibile. Qualcuno era persino arrivato ad immaginare la cresta come un boccaglio, per respirare mentre la testa veniva immersa; ma il tubo mancava di un foro che lo permettesse. Per nascondere l’inusuale “sella” per molti anni si è immaginata una sorta di vela di pelle, che andava proprio a finire dove si trova la patologia. Lo stesso stratagemma è visibile anche per il film “Fantasia”, ispirato alla scienza e paleoarte del primo Novecento. Dagli anni ’70 si è però resa sempre più evidente la terrestrialità di questi animali e pressochè di tutti i dinosauri, dandoci ora un contesto perfetto anche per il legamento nucale. Questa idea era già stata applicata a molte ricostruzioni, grazie in particolare ai paleoartisti e ricercatori Stephen Czerkas e Gregory Paul, che osservando le mummie fossili di alcuni adrosauri (conservate con ampie impronte di pelle) avevano ipotizzato la presenza di un collo più taurino. Malgrado ciò mancava al momento uno studio che valutasse più in dettaglio l’ipotesi. Nell’articolo viene anche fornita un’analisi della storia delle ricostruzioni, mettendone a nudo i retroscena e costringendoci, seppur con dispiacere, ad escludere la famosa vela vista in “Fantasia”, così come l’ipotesi di un collo aggrazziato e sottile. Entrambe queste interpretazioni sono ancora molto raffigurate e restano le più familiari al pubblico. Gli adrosauri mostrano anche una fitta rete di “tendini ossificati”, strutture che irrigidiscono la schiena e la coda di questi animali e che, in modo curioso, si fanno evidenti proprio a partire dalla zona della “sella” e quindi del potenziale legamento. Il che avrebbe senso, considerata la necessaria mobilità del collo e delle sue strutture annesse, spiegando anche perché da un lato la V si pieghi in avanti, con lo sforzo sottoposto dal legamento nucale, dall’altro all’indietro, sotto l’effetto delle ossificazioni della schiena. Il tutto merita però di essere approfondito e verificato con ulteriori studi: da una reinterpretazione delle mummie fossili, ancora poco studiate, all’analisi microscopica delle ossa, oltre ad un quadro generale che compari questo animale con altri suoi simili e le specie viventi. E’ quindi ancora una strada aperta a molte possibili scoperte che, come si è visto, possono cominciare anche osservando le “preziose” paleopatologie.