Esposizione dedicata al mondo della Paleoarte Una mostra organizzata da APPI – Associazione Paleontologica Paleoartistica Italiana e Animali Selvaggi
In collaborazione con
Museo Paleontologico di Montevarchi e Accademia Valdarnese del Poggio
Frames from Deep Time
9 – 21 dicembre 2024
Animali Selvaggi – Via Zamboni 74 Bologna
Durante la durata dell’esposizione sono previsti seminari ed incontri con il pubblico:
* 9 dicembre ore 18,30 PALEOARTISTI SI DIVENTA: riportare in Vita la Preistoria – con Davide Bonadonna (paleoartista) * 12 dicembre ore 18,30 DALLA PIETRA ALLA CARTA: storie di come figurare un sasso e altri strani oggetti – con Michela Contessi (conservatrice del Museo Geologico G. Capellini) * 17 dicembre ore 18,30 CARTOLINE DAL TEMPO PROFONDO: storie di Paleoartisti – con Fabio Manucci (paleoartista) * 19 dicembre ore 18,30 ALTRI MONDI – con Marco Muscioni (paleontologo)
Paleoartisti si Diventa_ BonadonnaDalla Pietra alla Carta_ContessiCartoline dal Tempo Profondo_ManucciAltri Mondi_Muscioni
La capacità di regolare la temperatura corporea, una caratteristica che tutti i mammiferi e gli uccelli hanno oggi, potrebbe essersi evoluta tra alcuni dinosauri già all’inizio del periodo Giurassico, circa 180 milioni di anni fa: questo è ciò che suggerisce un nuovo studio condotto da ricercatori della UCL – University College London e dell’Università di Vigo.
All’inizio del XX secolo, i dinosauri erano considerati animali lenti e “a sangue freddo” come i rettili moderni, che facevano affidamento sul calore del sole per regolare la loro temperatura. Scoperte più recenti indicano che alcuni tipi di dinosauri erano probabilmente in grado di generare il proprio calore corporeo, ma non si sa quando sia avvenuto questo adattamento.
Il nuovo studio, pubblicato oggi sulla rivista Current Biology, ha esaminato la distribuzione dei dinosauri nei diversi climi della Terra durante il Mesozoico (l’era che vide il dominio dei dinosauri e dei grandi rettili sul nostro pianeta e che durò da 230 a 66 milioni di anni fa), attingendo a 1.000 fossili, modelli climatici e geografici del periodo e agli alberi evolutivi dei dinosauri.
Il gruppo di ricerca ha scoperto che due dei tre principali gruppi di dinosauri, i teropodi (come T. rex e Velociraptor) e gli ornitischi (compresi i parenti dei mangiatori di piante Stegosaurus e Triceratops), migrarono verso climi più freddi durante il Giurassico inferiore, suggerendo quindi lo sviluppo dell’endotermia (la capacità degli organismi di generare calore internamente) già a partire da 180 milioni di anni fa. Al contrario, i sauropodi, l’altro gruppo principale che comprende il Brontosaurus e il Diplodocus, vivevano nelle aree più calde del pianeta.
Precedenti ricerche avevano scoperto caratteristiche legate al “sangue caldo” tra gli ornitischi e i teropodi, alcuni dei quali erano noti per avere piume o proto-piume, che avevano funzione isolante per il calore interno di questi animali.
Alfio Alessandro Chiarenza, dell’UCL Earth Sciences e primo autore dello studio pubblicato oggi, ha dichiarato: “Le nostre analisi mostrano che sono emerse diverse preferenze climatiche tra i principali gruppi di dinosauri intorno al Jenkyns Event, circa 183 milioni di anni fa, quando un’intensa attività vulcanica portò al riscaldamento globale e all’estinzione di diversi gruppi vegetali. In questo periodo emersero molti nuovi gruppi di dinosauri. L’adozione dell’endotermia, forse il risultato di questa crisi ambientale, potrebbe aver consentito ai teropodi e agli ornitischi di prosperare in ambienti più freddi, consentendo loro di essere molto attivi anche per lunghi periodi di tempo, di svilupparsi e crescere più velocemente e produrre più prole”.
La coautrice Sara Varela, dell’Università di Vigo, in Spagna, ha dichiarato: “I teropodi includono anche gli uccelli e, come evidenzia questo studio, la loro capacità di regolazione interna della temperatura corporea potrebbe aver avuto origine in questo momento del Giurassico inferiore. Nello stesso periodo, i sauropodi, che vivevano in climi più caldi, presentavano dimensioni gigantesche tra le caratteristiche più evidenti e ciò potrebbe rappresentare un altro possibile adattamento dovuto alla pressione ambientale. Il loro minore rapporto tra superficie e volume potrebbe significare, per queste creature di dimensioni ragguardevoli, perdita di calore a un ritmo ridotto, consentendo loro di rimanere attive più a lungo”.
Nello studio, i ricercatori hanno anche indagato se i sauropodi tendessero a rimanere a latitudini più basse anche per un fattore legato ai nutrienti, per mangiare fogliame più ricco non disponibile nelle regioni polari più fredde. Invece, si è scoperto che i sauropodi sembravano prosperare in ambienti aridi, simili alla savana. Tutto ciò rappresenta un ulteriore supporto all’idea che la loro restrizione ai climi più caldi sia legata principalmente ad un fattore termico, ad una temperatura più elevata e quindi a una fisiologia a “sangue freddo”. Le regioni polari, infatti, erano più calde di quelle attuali e caratterizzate da vegetazione abbondante, rappresentando quindi per i sauropodi una buona riserva di nutrienti.
Il coautore, il dottor Juan L. Cantalapiedra, del Museo Nacional de Ciencias Naturales (Madrid -Spagna) ha dichiarato: “Questa ricerca suggerisce una stretta connessione tra il clima e il modo in cui si sono evoluti i dinosauri. Getta nuova luce su come gli uccelli potrebbero aver ereditato un tratto biologico unico dagli antenati dinosauri e sui diversi modi in cui i dinosauri si sono adattati a cambiamenti ambientali complessi e a lungo termine”.
Lo studio ha coinvolto ricercatori dell’UCL, dell’Università di Vigo, dell’Università di Bristol e del Museo Nacional de Ciencias Naturales di Madrid, e ha ricevuto finanziamenti dal Consiglio europeo della ricerca, dal Ministero spagnolo della ricerca, dal Consiglio per la ricerca sull’Ambiente Naturale e dalla Royal Society.
L’Accademia Valdarnese del Poggio e il Museo Paleontologico di Montevarchi organizzano e promuovono il Premio Italiano di Paleoarte, arrivato alla quarta edizione.
Cos’è il Premio Italiano di Paleoarte
Il Premio Italiano di Paleoarte è una competizione artistica il cui scopo è diffondere la conoscenza della Paleoarte, quale rappresentazione della vita preistorica con varie tecniche artistiche, offrendo anche una vetrina ai paleoartisti professionisti e non.
Le opere inviate per la quarta edizione 2024 faranno parte di una originale mostra artistica che sarà inaugurata il 12 Ottobre 2024.
NOVITÀ 2024: in occasione della quarta edizione del Premio viene introdotta la categoria Progetti. In questa nuova categoria rientrano tutte le creazioni che non possono essere rappresentate con una singola immagine: i progetti dovranno essere raccontati tramite la creazione di un poster. I progetti selezionati verranno esposti in occasione della mostra, in una sezione dedicata.
Le opere paleoartistiche classiche verranno inserite nella categoria “Illustrazioni”.
Scadenza
La competizione, con il conseguente invio delle illustrazioni e/o del progetto da parte degli artisti, avrà inizio venerdì 1 Marzo 2024 e terminerà sabato 31 Agosto 2024. Tutti i lavori saranno valutati da una giuria composta da persone influenti della scena paleontologica italiana e internazionale.
Esito e Premi
Sono previsti un primo, secondo, terzo posto per gli “adulti” nella categoria “Illustrazioni”, con relativo premio in denaro. È previsto un premio per uno degli autori della categoria “Artisti in erba”. È previsto un premio per il miglior lavoro iscritto alla categoria “Progetti”, che prevede una presentazione in pubblico. Il 12 Ottobre 2024 saranno comunicati i nomi dei vincitori e verrà organizzata una premiazione ufficiale.
Scarica il regolamento QUI Scarica il modulo dedicato alla categoria Illustrazioni QUI Scarica il modulo dedicato alla categoria Progetto QUI Scarica il modulo dedicato alla categoria Giovani Paleoartisti QUI
Geology for a sustainable management of our Planet è il congresso congiunto organizzato dalla Società Geologica Italiana (SGI) e dalla Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (SIMP) e che si svolgerà a Bari dal 3 al 5 settembre 2024 .
Le tre giornate congressuali saranno articolate in sessioni scientifiche parallele, conferenze plenarie di studiosi di rilievo internazionale, tavole rotonde e workshop su tematiche chiave delle Geoscienze nonché sul loro contributo a temi ad alto impatto geologico-sociale. Come per la cerimonia di apertura, i temi congressuali dedicheranno attenzione anche alla divulgazione delleGeoscienze come strumento per la formazione del cittadino, per un futuro sostenibile del Pianeta.
Se siete impegnati nella divulgazione delle geoscienze o desiderate affinare le strategie di comunicazione, vi invitiamo a presentare il vostro contributo alla sessione:
La scadenza per la sottomissione degli abstract in inglese è fissata venerdì 26 aprile alle ore 19:00.
Verranno presi in considerazione i metodi di comunicazione tradizionali, come la narrazione, il linguaggio e la visualizzazione, nonché le strategie digitali emergenti come la citizen science, i social network e le app.
Sono benvenuti anche approcci non convenzionali, come le arti visive, la letteratura, i fumetti, la musica e le performance per trasmettere informazioni scientifiche e la presentazione di opere artistiche ispirate alle Scienze della Terra.
Per dubbi non esitate a contattarci!
CONVENERS: Valeria Giampaolo (CNR), Ortensia Amoroso (Università degli Studi di Salerno), Rosa Coluzzi (CNR), Giacomo Eramo (Università di Bari Aldo Moro), Marco Romano (Sapienza, Università di Roma), Anna Giamborino (APPI, Associazione Paleontologica e Paleoartisca Italiana).
Tra i molti tesori fossili del Royal Ontario Museum di Toronto (Canada) se ne ritrova uno particolarmente bizzarro ed iconico: il primo scheletro rinvenuto di Parasaurolophus, catalogato come ROM 768 e antico di 76 milioni di anni. Si tratta di un dinosauro erbivoro del gruppo degli adrosauri, animali spesso riconoscibili dalla presenza di creste che ne ornano il cranio. Tra tutte le specie note, Parasaurolophus è la forma crestata più appariscente e particolare, dotata di una sorta di tubo osseo piegato all’indietro e internamente cavo, un organo ritenuto oggi una cassa di risonanza utile ad amplificare i suoni. Questo tratto così difficile da spiegare lo ha reso per molti anni un vero enigma scientifico, trasformandolo anche in uno dei dinosauri più noti al grande pubblico, celebrato da film quali “Fantasia” di Walt Disney e “Jurassic Park”, con i suoi recenti seguiti. Malgrado questa notorietà si tratta di un adrosauro tra i più rari, di cui la specie P. walkeri, la prima descritta e quella qui esaminata, fu scoperta intorno al 1920 presso il Dinosaur Provincial Park in Alberta, regione dalla quale continuano a scarseggiare suoi ritrovamenti.
The type specimen of Parasaurolophus walkeri (ROM 768) exhibited at the ROM in the opisthotonic “death pose” position as it was found in 1920.
Un nuovo studio, appena pubblicato sulla rivista Journal of Anatomy, fa luce su nuovi aspetti di questo celebre dinosauro. A capo della ricerca Filippo Bertozzo, giovane paleontologo presso la Queen’s University di Belfast e specializzato proprio negli adrosauri. Filippo ha avuto la fortuna di occuparsi del ristudio del celebre ROM 768, fossile di una specie che da sempre lo affascina e che ha potuto analizzare da una nuova prospettiva inattesa, quella della paleopatologia. Questa disciplina riguarda l’analisi di malattie, ferite e traumi visibili ancora dai fossili, un ambito un tempo trascurato che sta vivendo ora una piccola rivoluzione, grazie anche a Darren Tanke, uno degli autori che han preso parte all’articolo. In fondo, a chi dovrebbero interessare le malattie di un animale estinto, non è certo curabile! Di sicuro a chi vuole indagare la biologia delle specie fossili anziché limitarsi a raccoglierle. Le patologie, proprio come in un caso criminologico, ci raccontano un’infinità di dettagli sullo stile di vita e l’anatomia, restituendoci informazioni altrimenti difficili da dedurre. In realtà la materia rimane tuttora innovativa e lo scheletro esposto a Toronto racchiude un’infinità di traumi e ferite, mai trattati in dettaglio. Filippo ha dedicato i suoi ultimi anni di ricerca allo studio delle paleopatologie, spostandosi in giro per il mondo, dal Canada alla Russia, per osservare quel che i fossili ancora dovevano raccontare a riguardo. E questo scheletro di Parasaurolophus ne ha davvero molte di “vecchie ferite” e altrettante storie da svelare. In particolare, una di queste patologie è da sempre un suo segno di riconoscimento, qualcosa che solo ROM 768 mostra e che si nota al primo sguardo: la sua schiena porta una sorta di “sella” infossata a forma di V, una concavità tra la settima e ottava vertebra dorsale. Per anni ha confuso i ricercatori portandoli alle ipotesi più bizzarre, mai però giunte ad un’analisi definitiva. Molte illustrazioni lo hanno ricostruito così, con un buco nella schiena. Dato che la V si presenta alla stessa altezza della testa, qualcuno aveva ipotizzato potesse facilitare il passaggio o l’appoggio dell’ingombrante cresta cranica, lunga quasi un metro e mezzo. In quest’ottica si trattarebbe di un tratto anatomico dell’animale, ma altri fossili non sembravano confermarlo. Questa ricerca chiarisce definitivamente la natura traumatica e casuale della “sella” e rivela molte altre patologie, tra cui una malattia parodontale alla mandibola (un’infezione o trauma nella regione della bocca), fratture alle costole e nelle ossa del bacino. Insomma, un animale molto “vissuto”, che aveva dovuto fare i conti con numerosi episodi traumatici, in qualche modo superati con successo, come ne dimostrano i segni di guarigione osservabili sulle ossa, di solito visibili dopo settimane se non mesi. Ma, come si è detto sopra, anche una patologia può suggerire implicazioni inaspettate e questo è proprio il caso della “sella”. Il trauma che l’aveva provocata sembrava spiegabile con l’urto subito con un oggetto pesante, qualcosa che lo avesse colpito quasi verticalmente. Forse un tronco caduto o un impatto di altro genere, vista la posizione alta della ferita, un’ipotesi magistralmente illustrata dal paleoartista Marzio Mereggia, con un’immagine ricca di dinamismo.
Paleoart reconstruction of a plausible scenario explaining the fossilized injuries in the thorax of ROM 768. In a violent rain and windstorm, a large tree (Platanaceae) falls on an adult Parasaurolophus walkeri, while the group is escaping. The tree falls vertically on the back of the animal, hitting the rib cage and the neural spines of the anterior dorsal vertebrae. Artwork Marzio Mereggia
Per quanto studiandolo sia evidente l’origine patologica, le vertebre non sono però “spezzate” e la loro particolare divaricazione a V può essere indicativa anche di altri aspetti più anatomici, non subito visibili dalle ossa. E qui è entrata in gioco anche la mia parte, lo studio di ricostruzione. Discutendone a lungo, abbiamo ipotizzato la possibilità che la posizione e forma della “sella” potessero fornire indizi sulla presenza in vita di un legamento nucale, una spessa struttura elastica che avrebbe aiutato a sostenere il collo e la testa, oltre a favorirne la mobilità. Qualcosa di simile a quanto si nota facilmente nel massiccio collo dei cavalli e delle mucche, ma presente in moltissime specie, inclusi a loro modo anche i coccodrilli e alcuni uccelli. L’ipotesi era già stata dibattuta in dettaglio per altri dinosauri, in particolare i sauropodi dal lungo collo che, viste le proporzioni incredibili, avrebbero giovato particolarmente di questa struttura. Ma è un dettaglio rimasto trascurato negli altri dinosauri e di cui spesso si vedevano ricostruzioni senza però un effettivo studio alle spalle. Per risolvere questo aspetto ci ha aiutati Matthew Dempsey, studente dottorale presso l’Università di Liverpool e coautore della ricerca, molto competente nello studio muscolare e biomeccanico dei dinosauri. Matthew ha ricostruito le differenti varianti del legamento nucale, stabilendo i probabili punti di origine e inserzione, sulla base anche del range di variabilità presente negli animali moderni e sfruttando l’indizio stessa della patologia, corrispondente a dove si riteneva si originasse il legamento in altri dinosauri. Il risultato è un collo non più snello, come appare dalle ossa e dalle prime ricostruzioni, ma spesso e muscoloso, perfettamente adatto ad un erbivoro quadrupede. Un tempo si riteneva che questi dinosauri fossero semiacquatici e anche il collo era inteso in analogia con quello di un’anatra, sottile e flessibile. Qualcuno era persino arrivato ad immaginare la cresta come un boccaglio, per respirare mentre la testa veniva immersa; ma il tubo mancava di un foro che lo permettesse. Per nascondere l’inusuale “sella” per molti anni si è immaginata una sorta di vela di pelle, che andava proprio a finire dove si trova la patologia. Lo stesso stratagemma è visibile anche per il film “Fantasia”, ispirato alla scienza e paleoarte del primo Novecento. Dagli anni ’70 si è però resa sempre più evidente la terrestrialità di questi animali e pressochè di tutti i dinosauri, dandoci ora un contesto perfetto anche per il legamento nucale. Questa idea era già stata applicata a molte ricostruzioni, grazie in particolare ai paleoartisti e ricercatori Stephen Czerkas e Gregory Paul, che osservando le mummie fossili di alcuni adrosauri (conservate con ampie impronte di pelle) avevano ipotizzato la presenza di un collo più taurino. Malgrado ciò mancava al momento uno studio che valutasse più in dettaglio l’ipotesi. Nell’articolo viene anche fornita un’analisi della storia delle ricostruzioni, mettendone a nudo i retroscena e costringendoci, seppur con dispiacere, ad escludere la famosa vela vista in “Fantasia”, così come l’ipotesi di un collo aggrazziato e sottile. Entrambe queste interpretazioni sono ancora molto raffigurate e restano le più familiari al pubblico. Gli adrosauri mostrano anche una fitta rete di “tendini ossificati”, strutture che irrigidiscono la schiena e la coda di questi animali e che, in modo curioso, si fanno evidenti proprio a partire dalla zona della “sella” e quindi del potenziale legamento. Il che avrebbe senso, considerata la necessaria mobilità del collo e delle sue strutture annesse, spiegando anche perché da un lato la V si pieghi in avanti, con lo sforzo sottoposto dal legamento nucale, dall’altro all’indietro, sotto l’effetto delle ossificazioni della schiena. Il tutto merita però di essere approfondito e verificato con ulteriori studi: da una reinterpretazione delle mummie fossili, ancora poco studiate, all’analisi microscopica delle ossa, oltre ad un quadro generale che compari questo animale con altri suoi simili e le specie viventi. E’ quindi ancora una strada aperta a molte possibili scoperte che, come si è visto, possono cominciare anche osservando le “preziose” paleopatologie.