• La Corsa delle Tartarughe

    La corsa contro il tempo delle tartarughe per battere il cambiamento climatico

    © Mauricio Anton

    Un nuovo studio, condotto dagli scienziati del Museo di Storia Naturale e dell’Università di Vigo, ha utilizzato il Tempo Profondo come chiave di previsione per i futuri cambiamenti climatici. 
    In particolare, sono stati studiati reperti fossili e analizzate le caratteristiche delle faune del passato con lo scopo di prevedere la distribuzione delle tartarughe viventi su un pianeta che diventa sempre più caldo.

    I risultati dimostrano come le tartarughe abbiano in realtà buone possibilità di sopravvivere agli aumenti di temperatura oggigiorno stimati. Con temperature previste attualmente in aumento di 1,5 – 2°C, è molto probabile che le tartarughe debbano mettere in conto un cambio di latitudine rispetto alle aree in cui vivono oggi.

    Se le tartarughe vorranno sopravvivere all’emergenza planetaria, dovranno quindi migrare in un nuovo ambiente, lontano dai loro attuali habitat tropicali e subtropicali che diventerebbero più aridi e quindi letali per questi rettili.
    Tuttavia, mentre il Pianeta si riscalda, altri luoghi diventano potenzialmente abitabili. Secondo l’attuale modello dei cambiamenti climatici, è possibile immaginare in un prossimo futuro che alla alte latitudini, una vasta porzione di area del Nord America e dell’Asia diventino più umide e calde, andando così a ricreare un habitat più adatto per le tartarughe.

    L’autore principale di questo studio, il dott. A. Chiarenza, afferma: “Per sfuggire agli effetti del cambiamento climatico ed evitare l’estinzione, dovuta allo stravolgimento ambientale legato soprattutto all’incremento delle temperature su tutta la Terra, le tartarughe saranno costrette a migrare lontano dai loro habitat attuali, verso un ambiente più adatto. Sebbene non siano note per la loro velocità, le tartarughe dovranno agire in fretta per battere il tasso di cambiamento climatico”. E aggiunge: “Un altro ostacolo da tenere in considerazione sono le pressioni antropiche su una potenziale migrazione. Questa ricerca fornisce una base per favorire il lavoro di conservazione e tutela per la salvaguardia delle tartarughe e potenzialmente anche per molte più specie i cui habitat sono vulnerabili ai cambiamenti climatici».

    Ma perché si è partiti proprio dalle tartarughe?
    Il team di ricerca ha deciso di concentrare questo progetto sulle tartarughe per diversi motivi. Rispetto ad altri rettili del passato, le tartarughe hanno una documentazione fossile sorprendentemente buona grazie anche ai loro carapaci. L’ecologia di questi affascianti rettili non è cambiata molto nelle ultime centinaia di milioni di anni, il che significa che sono facili da individuare e identificare, con una comprensione relativamente buona della loro distribuzione. Le tartarughe hanno una forte relazione con l’ambiente in cui vivono ed interagiscono e danno la possibilità ai ricercatori di costruire un dataset di informazioni fondamentali utilizzabili per comprendere i loro limiti climatici e ambientali.

    Dall’interazione dei dati paleontologici ed ecologici attuali, il team è stato in grado di valutare uno spazio ambientale teorico in cui gli animali potrebbero potenzialmente esistere, e quindi fare ulteriori previsioni basate su eventi noti. Dopo aver seguito con successo questo modello nel tempo, utilizzando dati ricavati dai reperti fossili, il gruppo è stato in grado di proiettarlo su scenari futuri, ad esempio quello della temperatura in aumento.

    L’importanza della Collezione
    Al momento ci sono solo pochi analoghi in grado di prevedere con precisione cosa accadrà agli animali durante l’emergenza planetaria. La documentazione sui fossili è uno strumento incredibilmente utile per aiutare a svilupparlo ulteriormente, poiché un cambiamento climatico di questa portata ha già avuto luogo durante il periodo di raffreddamento della Terra ed è registrato dai fossili provenienti dalle collezioni dei musei di Storia Naturale come quella utilizzata in questa ricerca.

    Il prof. Paul Barrett del Natural History Museum, e autore senior di questo studio, afferma: “Questa ricerca dimostra in modo eccellente l’inesprimibile potenziale delle collezioni nell’utilizzare i dati storici per offrire nuove intuizioni sulle questioni ecologiche in corso. Questo metodo, attraverso il quale possiamo prevedere le risposte ecologiche alle variazioni delle condizioni ambientali, aiuterà i conservatori e i responsabili politici su come prepararsi al meglio agli effetti dell’emergenza planetaria.

    “100 Ma of turtle palaeoniche dynamics enables prediction of latitudinal range shifts in a warming world” sarà pubblicato dalla rivista Current Biology mercoledì 21 dicembre 2022. 
    DOI: 10.1016/j.cub.2022.11.056

    Questa ricerca è stata resa possibile grazie ai finanziamenti del NERC, dell’ERC e della borsa di studio Juan de la Cierva Formación 2020 finanziata dal ministero spagnolo della Scienza e dell’innovazione.

    PROFESSIONE PALEONTOLOGO

    Biblioteca Comunale Sperelliana
    Mostra Extinction. Prima e dopo la scomparsa dei Dinosauri

    presentano 

    PROFESSIONE PALEONTOLOGO quattro appuntamenti da non perdere, per conoscere attraverso racconti ed esperienze dirette il mestiere del paleontologo in tutte le sue varie forme.

    I paleontologi vanno in giro per il mondo alla ricerca di resti di vita del passato, compiono scavi, studiano i reperti ritrovati, si adoperano affinché essi vengano conservati e valorizzati. Infine si impegnano per trasmettere le conoscenze acquisite al grande pubblico, attraverso la realizzazione di libri, documentari, mostre e musei, anche collaborando con artisti che danno una forma più concreta e accessibile alle loro scoperte.

    In questo ciclo di conferenze ospitato a Gubbio, città che con le sue magnifiche stratificazioni rocciose è indissolubilmente legata alla celebre e drammatica estinzione dei dinosauri, andremo a conoscere da vicino questa varietà di esperienze che costituiscono la professione del paleontologo.

    Programma

    giovedì 15 dicembre 2022, ore 18:00, Biblioteca Comunale Sperelliana
    Ripensare Spinosaurus. Il gigante perduto del Cretacico
    a cura di Simone Maganuco, paleontologo e curatore della mostra Extinction di Gubbio

    giovedì 26 gennaio 2023, ore 18:00, Biblioteca Comunale Sperelliana
    In Africa alla ricerca delle origini dell’umanità
    a cura di Marco Cherin, palentologo e paleoantropologo, Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università degli Studi di Perugia

    giovedì 23 febbraio 2023, ore 18:00, Monastero San Benedetto (Mostra Extinction)
    Ricostruire mondi perduti
    a cura di Fabio Manucci, paleoartista e collaboratore della mostra Extinction di Gubbio

    giovedì 23 marzo 2023, ore 18:00, Monastero San Benedetto (Mostra Extinction)
    Polvere, ossa e altri misteri. Il dietro le quinte di uno dei più antichi musei geologici
    a cura di Michela Contessi, paleontologa, Conservatrice Collezione di Geologia “Museo Giovanni Capellini” SMA – Bologna.

    Professione Palentologo è un ciclo di incontri a cura del Paleontologo Simone Maganuco e promosso dalla Biblioteca Comunale Sperelliana e dalla Mostra Extinction. Prima e dopo la scomparsa dei dinosauri

    Con il patrocinio di:
    Comune di Gubbio
    Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università degli Studi di Perugia
    APPI – Associazione Paleontologica Paleoartistica Italiana

    I Dinosauri regnarono incontrastati fino alla caduta dell’asteroide

    Perché i dinosauri non aviani si estinsero mentre uccelli e mammiferi conquistarono la Terra

    I dinosauri erano al top dei loro ecosistemi fino a quando un asteroide non colpì la terra 66 milioni di anni fa, rivela un nuovo studio.
    Nuovi dettagli sull’ecologia dei dinosauri, in particolare lo studio degli habitat e delle catene alimentari di questi ambienti del passato, rivelano come gli ecosistemi di fine Cretacico godessero di piena salute prima di quell’impatto fatale che decretò la fine dell’era Mesozoica.

    Un’istantanea dall’estinzione: un esemplare di Triceratops prorsus si ciba di alcune foglie di cicadacee (Nilsonniacladus), spaventando un piccolo mammifero placentale (sinistra) e un marsupiale (destra), mentre una tartaruga dal guscio molle si arrampica su un tronco, inconsapevole che la sua ecologia dulcacquicola la salverà dall’apocalisse che di lì a poco giungerà dallo spazio.
    (Illustrazione © Henry Sharpe, utilizzata su licenza).

    Questi nuovi risultati, pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Science Advances, forniscono le evidenze più robuste finora che questi animali preistorici furono colti nel pieno del loro splendore ecologico, e non fossero in declino prima che l’asteroide colpisse la Terra.

    Gli scienziati hanno a lungo dibattuto sul perché i dinosauri non aviani come il Tyrannosaurus rex e il Triceratops si estinsero mentre mammiferi e altre specie come tartarughe e coccodrilli sopravvissero all’estinzione di massa provocata dall’asteroide.
    Il nuovo studio, condotto da un gruppo internazionale di paleontologi, ha analizzato 1600 fossili provenienti dal Nord America, per ricostruire le reti trofiche e le abitudini ecologiche di tutti gli animali terrestri e di acqua dolce che vissero durante gli ultimi milioni di anni del Cretacico e i primi milioni di anni del Paleogene, il periodo seguente la grande estinzione.

    Evoluzione delle nicchie climatiche dei dinosauri (sopra) e degli altri vertebrati terrestri e d’acqua dolce fra Cretacico e Paleogene. I dinosauri non aviani (sopra) occuparono nicchie stabili mentre gli altri vertebrati (sotto) si adattavano come potevano a condizioni molto più instabili, cercando di evolvere adattamenti per compensare a fluttuazioni anche repentine del clima. Questo fattore potrebbe aver giocato un ruolo chiave nel determinare la sopravvivenza di questi gruppi a discapito dei dinosauri non-aviani, in quanto mammiferi, uccelli, coccodrilli, tartarughe e anfibi risultarono “preadattati” a cambiamenti radicali e repentini come quelli avvenuti alla fine del Cretacico.

    I paleontologi conoscono da tempo i piccoli mammiferi che vivevano ai piedi dei dinosauri. Quello che questa ricerca dimostra per la prima volta è che questi mammiferi stavano andando incontro ad una grande diversificazione ecologica, adattando dieta e abitudini a diversi ambienti, diventando dei componenti importanti dei loro ecosistemi fin dal Cretacico. Intanto, i dinosauri occupavano stabilmente le principali nicchie ecologiche, a cui erano straordinariamente ben adattati.

    A seguito della caduta del famoso meteorite e alla crisi biotica che ne seguì, i mammiferi non si avvantaggiarono solamente della scomparsa dei dinosauri non aviani, dicono gli esperti. I nostri antenati stavano già seminando il loro successo evolutivo attraverso questa marcata diversificazione ecologica, per esempio occupando nuove nicchie ecologiche ed evolvendo diete e comportamenti molto diversificati, adattandosi ai più repentini cambiamenti climatici.

    Primo autore dello studio, il Dr Jorge García-Girón, dell’Università di Oulu in Finlandia e dell’Università di León in Spagna, afferma: “Il nostro studio restituisce un nuovo quadro degli ecosistemi, reti alimentari e nicchie ecologiche degli ultimi ecosistemi con i dinosauri non-aviani e dei primi ambienti dominati dai mammiferi dopo l’estinzione di massa di fine Cretacico. Questo ci aiuta a risolvere uno dei più antichi misteri della paleontologia: perché tutti i dinosauri non aviani si estinsero, ma gli uccelli e i mammiferi no.”

    Co-primario dello studio, il Dr Alfio Alessandro Chiarenza, dal Dipartimento di Ecologia e Biologia Animale dell’Università di Vigo in Spagna, ha dichiarato: “Sembra che gli ultimi dinosauri godessero di un’ecologia stabile da milioni di anni che però ho fornito uno svantaggio quando l’asteroide cambiò le regole ecologiche in maniera inaspettata e improvvisa. Al contrario, animali come gli uccelli, i mammiferi, i coccodrilli e le tartarughe avevano già evoluto da tempo adattamenti a cambiamenti ambientali radicali e repentini, una sorta di ‘preadattamento’ che consentì a questi gruppi di sopravvivere quando le cose si misero male dopo la caduta dell’asteroide.”

    Dinamiche ecologiche attraverso l’intervallo fra fine Cretacico e inizio Paleogene. Durante il Campaniano (83.6–72.1 milioni di anni fa), i ruoli ecologici erano primariamente occupati da dinosauri di grandi dimensioni (sopra) mentre durante il Maastrichtiano (72.1–66 milioni di anni fa), le nicchie degli erbivori erano principalmente occupate da dinosauri di piccola e media taglia, al contrario dei predatori di grandi dimensioni, come il Tyrannosaurus rex che occupavano stabilmente un ruolo apicale nelle catenealimentari. Altri gruppi animali, come i mammiferi, subirono un’espansione ecologica graduale dal Campaniano e attraverso il Maastrichtiano, diversificandosi in tutte le nicchie ecologiche, che dominarono da 66 milioni di anni fa in poi. Gli ecosistemi di acqua dolce rappresentarono gli ambienti più stabili durante questo intervallo di tempo, rappresentando gli habitat meno perturbati durante l’episodio di estinzione di fine Cretacico e garantendo la sopravvivenza ai gruppi che li abitarono, come tartarughe, anfibi e coccodrilli.

    Il Professor Steve Brusatte, cattedratico di Paleontologia ed Evoluzione all’Università di Edimburgo in Scozia e coautore dello studio commenta: “Idinosauri erano nel pieno del loro successo ecologico, con ecosistemi stabili e fiorenti fin quando l’asteroide non ne determinò la repentina estinzione. Nel frattempo, i mammiferi avevano raggiunto un livello di diversificazione delle loro diete, ecologie e comportamenti già da quando condividevano il pianeta con questi imponenti rettili. Non si trattò solo di opportunismo dei mammiferi: i nostri antenati si costruirono la loro fortuna evolvendo ecologie variegate e adattabili ai più strani sconvolgimenti, una carta che si rivelò fortuita quando le nicchie ecologiche rimasero vacanti per la scomparsa dei dinosauri non-aviani.”

    La ricerca è stata finanziata dalla National Science Foundation Americana, dall’Accademia di Finlandia, il Next Generation European Research Council (ERC) Starting Grant della Comunità Europea, il programma di Ricerca e Innovazione “Horizon 2020” della Comunità Europea e dal fondo di ricerca Juan de la Cierva Formación 2020 del Ministero della Scienza e dell’Innovazione spagnolo.

    doi: 10.1126/sciadv.add5040