• PODCAST: L’Estinzione dei Dinosauri

    A cura di Co.scienza
    https://trascienzaecoscienza.wordpress.com/


    L’episodio proposto riguarda l’estinzione di massa che 66 milioni di anni fa ha visto i protagonisti più celebri del Mesozoico: i dinosauri.
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    L’asteroide, colpendo la piattaforma carbonatica dello Yucatán, con il conseguente rilascio di grandi quantità di particelle e gas nell’atmosfera, ha bloccato la radiazione solare e causato così condizioni di inverno permanente.
    Anche le eruzioni vulcaniche dei Trappi del Deccan, nell’attuale India, produssero notevoli quantità di polveri e gas, ma con effetti su scale diverse rispetto all’impatto extraterrestre. Diversi studi hanno dimostrato come le emissioni di gas serra da queste province magmatiche abbiano probabilmente causato diversi episodi di riscaldamento globale, prima, durante e dopo l’estinzione di massa.
    Ai microfoni il paleontologo Alessandro Chiarenza, autore dello studio pubblicato poche settimane fa sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences)

    Master in Comunicazione delle Scienze

    Fino al 2 ottobre 2020 saranno aperte le iscrizioni al XX corso del Master in Comunicazione delle Scienze dell’Università di Padova

    Il “Master in Comunicazione delle Scienze” ha l’obiettivo di formare professionisti della comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia in grado di operare in molteplici settori:
    – giornalismo scritto, radiofonico, televisivo e su internet;

    – comunicazione istituzionale e d’impresa;
    – editoria tradizionale e multimediale;
    – musei e mostre scientifiche;
    – promozione e gestione di iniziative di diffusione di cultura scientifica.

    Le attività formative, tenute da novembre 2020 a luglio 2021 nei giorni di venerdì (l’intera giornata) e sabato (mattina), comprendono: lezioni, laboratori, esercitazioni e seminari. Inoltre fa parte integrante delle attività formative un tirocinio professionalizzante (stage) di 200 ore presso aziende, enti e istituzioni convenzionate, da svolgere tra gennaio e giugno 2021.

    La peculiarità del Master è quella di offrire a studenti provenienti da diversi ambiti disciplinari e professionali (scientifici, tecnici e umanistici) la maturità culturale necessaria e gli strumenti operativi adeguati per acquisire e trasmettere informazioni sugli attuali sviluppi della scienza e della tecnica in modo comprensibile e rigoroso, per interagire efficacemente con i protagonisti della ricerca nei vari campi, per organizzare le strutture finalizzate alla comunicazione istituzionale, per promuovere e gestire iniziative di diffusione della cultura scientifica.

    Gli studenti vengono preparati a lavorare nell’ambito di vari media, da quelli più tradizionali ai servizi di rete sociale (social network), a predisporre e gestire piani di comunicazione per enti di ricerca e istituzioni, pubbliche o private, quali le università e le scuole, le strutture sanitarie, i musei scientifici e i “science center”, le imprese. Il confronto tra studenti provenienti da aree disciplinari diverse arricchisce l’esperienza formativa.

    I docenti del master sono specialisti attivi a livello universitario o sul campo (in particolare, direttori di istituzioni scientifiche, giornalisti, direttori e conservatori dei musei) scelti per preparazione ed esperienze specifiche.

    È possibile frequentare anche il corso singolo “Comunicazione digitale e social media”.

    Per l’ammissione si richiede almeno una laurea triennale, o di vecchio ordinamento, in qualsiasi ambito disciplinare scientifico, tecnico o umanistico. Il superamento del corso dà diritto a 60 crediti.

    Ulteriori informazioni sul Master e sulle modalità d’iscrizione si trovano alle pagine http://mcs.fisica.unipd.it e http://www.unipd.it/comunicazione-scienze, e sulla pagina facebook mcsunipd.

    Locandina_20_21 Master in Comunicazione delle Scienze

     

    Una Domenica con Dino

    In occasione dell’evento organizzato a Rovereto dall’Associazione Paleontologica APPI Dinosauri in Carne e Ossa, tutte le domeniche, a partire dal 12 luglio e fino al 27 settembre potrai vivere un’esperienza a tutto tondo nel Giurassico!

    L’appuntamento è alle 9 ai Lavini di Marco con gli esperti della Fondazione Museo Civico di Rovereto. Dopo la visita al sito paleontologico e una pausa per il pranzo, si accede alla mostra. Il ritrovo davanti all’ex Asilo della Manifattura di Borgo Sacco è alle 15:30, ingresso previsto alle 15.45.

    Durante la visita al sito paleontologico dei Lavini di Marco saranno presentate le orme e le piste maggiori, raccontate attraverso “tappe tematiche” la geologia e l’evoluzione della regione. A seguire, l’esperienza si concluderà con la visita alla mostra Dinosauri in Carne e Ossa, presso il Parco dell’ex Asilo Nido Manifattura di Borgo Sacco.
    Protagonisti, i giganteschi dinosauri dominatori dell’Era Mesozoica, come il Tirannosauro e il Diplodoco, e tante altre specie vissute in un arco di tempo di 200 milioni di anni, fino ai giorni nostri: alcune altrettanto iconiche, come il Mammut e la tigre dai denti a sciabola, simboli dell’era glaciale, altre più piccole o meno note, ma non per questo meno evocative di Mondi primordiali oggi scomparsi.

    Prenota entro le ore 18 del martedì precedente l’uscita scrivendo a info@visitrovereto.it
    www.visitrovereto.it/vivi/eventi/dinosauri-in-carne-ed-ossa/

    Un Pulcino in Alaska

    Una mandibola fossile dal Circolo Polare Artico dell’Alaska rivela nuove informazioni sull’identità di un nuovo dinosauro carnivoro e sulle abitudini non migratorie di questi animali del passato.

    Un frammento di mandibola dall’Alaska rappresenta un raro esemplare di dinosauro dromeosauride dall’Artico, secondo lo studio pubblicato oggi sulla rivista scientifica PLOS ONE da un gruppo di ricerca guidato dal paleontologo italiano Alfio Alessandro Chiarenza (University College London e Imperial College London, UK).
    Il team include Anthony Fiorillo (Southern Methodist University, Texas), Ron Tykoski e Dori Contreras (Perot Museum of Nature and Science, Texas), Paul McCarthy (University of Alaska, Fairbanks, Alaska), Peter Flaig (University of Texas at Austin, Texas).

    Arctic Raptor Jaw_©A. Chiarenza


    I Dromeosauridi furono un gruppo di dinosauri predatori vicini evolutivamente agli uccelli, comprendente specie iconiche come il Deinonychus e il Velociraptor (resi popolari dal celebre film Jurassic Park del 1993 e successivamente dal film di animazione Dinosauri, 2000). Questi teropodi vivevano in diversi continenti, ma le loro ossa spesso piccole e delicate, raramente si conservano nel record fossile, complicando gli sforzi degli studiosi di ricostruire la loro storia evolutiva e la loro distribuzione fra i diversi continenti.

    Dalla formazione geologica Prince Creek, nel nord dell’Alaska, proviene la più grande collezione di dinosauri polari al mondo, datati intorno a 70 milioni di anni, ma fino a questo momento gli unici fossili rinvenuti attribuibili a dromeosauri erano rappresentati soltanto da pochi denti isolati e frammentari. Questa porzione di mandibola lunga appena 14 mm, e che preserva la punta anteriore dell’osso, è il fossile più completo proveniente da queste latitudini. Le analisi anatomiche e statistiche indicano che questo fossile apparteneva a uno stretto parente del dromeosauro nordamericano Saurornitholestes.

    Si pensa che i dromeosauri provenissero dall’Asia, e che abbiano raggiunto successivamente il Nord America quando l’Alaska rappresentava un ponte naturale per la migrazione delle specie fra questi due continenti.
    Il nuovo fossile è un importante tassello nella comprensione di quei dinosauri che nel tardo Cretacico vivevano a queste latitudini estreme.

    Inoltre, lo stadio di crescita dell’individuo rappresentato da questo fossile, verificabile grazie alle dimensioni e alla struttura del tessuto osseo fossilizzato, ci suggerisce che l’animale era probabilmente nato da poco e verosimilmente nella zona circostante.

    Details of the fossil jaw from the Alaska Dromaeosaurid dinosaur


    A differenza di quel che si pensava in passato, e che vedeva l’Alaska come un territorio di passaggio perché climaticamente “ostile”, queste evidenze suggeriscono che nonostante il freddo e almeno quattro mesi annui di totale oscurità (alla fine del Cretacico l’intera area si trovava più a nord dell’attuale, tra gli 80° e i 90° lat.), i dinosauri vi si stabilissero e che trovassero le condizioni ambientali favorevoli alla riproduzione e allo sviluppo.

    Fossil Site Map


    “Se i giovani di questi dinosauri sono stati rinvenuti in quest’area, significa che queste specie dovevano spendere molto tempo nella zona per potersi accoppiare, nidificare e crescere. I pulcini di dinosauro probabilmente non erano fisicamente in grado di migrare per migliaia di chilometri nelle latitudini più meridionali, e questo ci fornisce indicazioni indirette sul fatto che questi animali erano probabilmente residenti perenni dell’Artico preistorico.” Rivela il coautore dello studio Dr Anthony Fiorillo.

    «Questo ritrovamento è particolarmente eccezionale in quanto vi è una particolare difficoltà a reperire fossili di ossa così sottili e delicate, poiché, data la loro fragilità, vengono distrutte dagli agenti esterni ben prima della fossilizzazione. Ancor più raro è trovarne di esemplari così giovani. Possiamo dire quindi che si tratta del classico caso di un ago in un pagliaio». Dice il Dr Alessandro Chiarenza, primo autore dello studio.

    I risultati di questa ricerca sono pubblicati oggi nella rivista scientifica internazionale open access PLOS ONE.

    Chiarenza A.A., Fiorillo A.R., Tykoski R.S., McCarthy P.J., Flaig P.P., Contreras D.L. 2020.
    The first juvenile dromaeosaurid (Dinosauria: Theropoda) from Arctic Alaska.
    PLOS ONE. DOI: 10.1371/journal.pone.0235078

    In copertina: Illustrazione scientifica da parte del paleoartista Andrey Atuchin che mostra il pulcino di dromeosauro sul ramo vicino ad un adulto, mentre un esemplare subadulto insegue un topo marsupiale (Unnuakomys hutchisoni). Alcuni individui del ceratopside Pachyrhinosaurus perotorum riposano sullo sfondo.

    Il Lato “Soft” dei Dinosauri

    La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature e condotta da Mark Norrel, dell’American Museum of Natural History, che vede anche il coinvolgimento di Jasmina Wiemann e del paleontologo italiano Matteo Fabbri (Yale University), ha dimostrato che le prime uova di dinosauro erano soffici!

    Come per i coccodrilli, stretti parenti dei dinosauri mesozoici, e per gli uccelli, loro discendenti, si è sempre pensato che le uova dei dinosauri fossero dure, cioè con un guscio calcificato. I loro resti fossili sono particolarmente rari, ma le testimonianze giunte finora non lasciavano dubbi: le uova dei grandi rettili del passato un guscio rigido e spesso come quelle della maggior parte dei rettili moderni e degli uccelli.

    Il guscio duro è un elemento che isola e costituisce una barriera protettiva per l’embrione dai microorganismi esterni e dall’essiccazione. I rettili, hanno infatti sviluppato questo tipo di guscio poiché l’ambiente terrestre presenta delle condizioni ambientali più “difficili” rispetto a quelle dell’ambiente acquatico, e questo ostacolerebbe lo sviluppo dell’embrione stesso.

    Ma la ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature e condotta da Mark Norrel, dell’American Museum of Natural History, e che vede anche il coinvolgimento di Jasmina Wiemann e del paleontologo italiano Matteo Fabbri, entrambi della Yale University, ha dimostrato che le prime uova di dinosauro erano soffici!

    Le analisi geochimiche sono state effettuate sui resti di due diversi gruppi di dinosauro di cui per primi nel tempo ci sono giunte testimonianze di uova fossilizzate, il Mussasaurus (Triassico sup.) – uno dei primi sauropodi di cui sono stati rinvenuti resti fossili di uova e Protoceratops (Cretacico sup.), di cui si hanno i primi resti fossili di uova per il gruppo dei ceratopsi. L’analisi conferma la composizione organica di queste uova di dinosauro dal guscio morbido, rivelando una struttura stratificata che ricorda il guscio d’uovo delle tartarughe azzannatrici attuali.

    I ricercatori si sono concentrati sulle composizioni minerali e chimiche dei fossili, tra cui un alone di colore scuro e biancastro che circonda gli embrioni fossilizzati: sono stati confrontati i gusci d’uovo di Protoceratops e Mussaurus con quelli di altri diapsidi, rivelando che il primo uovo di dinosauro era a guscio molle. L’uovo di dinosauro calcificato a guscio duro si è evoluto in modo indipendente (omoplasia) almeno tre volte durante il Mesozoico, spiegando così la tendenza di gusci duri nel record fossile per i dinosauri comparsi successivamente. 

    Abbiamo cercato eventuali residui di una membrana proteica a guscio d’uovo: sono stati fondamentalmente messi a confronto un gran numero di campioni attuali e fossili per costruire un set di dati che diano un’idea complessiva del quadro molecolare del guscio d’uovo nel tempo.
    Probabilmente questi dinosauri seppellivano le loro uova per mantenerle così umide e protette, esattamente come fanno oggi molte tartarughe, serpenti e lucertole.

    Questa nuova informazione, insieme alle precedenti ricerche di alcuni paleontologi sulle strategie di nidificazione dei dinosauri, ci restituisce una visione più chiara e completa della nidificazione e delle cure parentali dei dinosauri, di cui ancora si conosce pochissimo.

    Wiemann e Fabbri hanno dichiarato che la nuova scoperta mostra che i tre gruppi principali dei dinosauri – Ornithischia, Sauropodomorpha e Theropoda – presentavano tutti, nelle loro forme primitive, gusci d’uovo morbidi e le uova a guscio duro e calcificato si sono evolute successivamente in maniera indipendente per ogni gruppo.

    In sostanza, facendo un passo indietro e guardando i dati molecolari, abbiamo scoperto che i primi dinosauri nelle fasi riproduttive, avevano un comportamento più simile ai rettili che ai loro discendenti, gli uccelli “, ha detto Fabbri.